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L’incarico di invogliare all’acquisto dei biglietti il popolo che in verità si era mostrato alquanto reticente.
Nel 1556 Cosimo I, versando una somma in denaro, formò una società tenutaria del gioco con alcuni mercanti, che a loro volta depositarono in pegno oggetti preziosi.

Fu inoltre concesso, ad ulteriore garanzia dell’impresa, che sul fondo cassa del gioco del lotto si riversasse quanto il Granducato incassava con le condanne pecuniarie.
Cosimo I ricorse all’istituzione di questa vendita in lotti per coprire le ingenti spese sostenute per assoggettare Firenze e poi Siena.
Nel 1688 troviamo invece sancito il divieto di prendere parte al Gioco del Seminario di Genova.
E’ del 1732 un bando che torna a condannare l’immoralità del lotto che fa dimenticare al popolo l’onesto vivere e lo spinge a commettere i più svariati misfatti pur di procurarsi il denaro da impegnare al gioco, causando, non ultimo, la fuoriuscita di ingenti somme con le puntate effettuate sul lotto estero.
Vennero così stabilite multe e prigione per chi gestisse il gioco. Sembra però; che questo tipo di condanne non sortì grande effetto visto che nel 1737 venne aggiunta come pena anche la tortura.
Solo due anni dopo, nel 1739, arriviamo all’istituzione del lotto nel Granducato di Toscana. Il gioco fu dato in appalto per nove anni ad un certo Ottavio Cataldi al quale era pure concesso di accettare giocate sui lotti esteri.
Anche qui troviamo le novanta zitelle per cinque delle quali doveva essere sorteggiata una dote da destinarsi al momento del matrimonio o dell’entrata in monastero.
Nel frattempo le doti sarebbero state depositate in Santa Maria Nuova o investite al Monte. Le estrazioni venivano effettuate, oltre che a Firenze, anche a Pisa e a Livorno. Anche nel Granducato di Toscana venne attuata la regola del “castelletto”.
Era inoltre operante il divieto, che troviamo per la prima volta, di accettare giocate sui lotti esteri quando le estrazioni vi erano già avvenute anche se non erano ancora giunti i risultati.
Alle ricevitorie, dette prenditorie, era fatto obbligo di tenere dei registri sui quali riportare le giocate.
Prima che si effettuassero le estrazioni, i registri dovevano essere recapitati all’Impresa e l riposti in un archivio chiuso con tre diverse serrature le cui chiavi erano tenute: una dall’impresario, una dal primo deputato e l’ultima dal Direttore dell’Azienda.
Un delegato del direttore doveva apporvi i sigilli. Nel 1775 si emanarono nuove disposizioni in base alle quali era lasciata all’impresa la libertà di decidere date, luoghi e numero delle estrazioni e le ragazze sorteggiate, sempre appartenenti alle varie parrocchie del Granducato, avevano diritto a ricevere subito la dote senza attendere l’eventuale matrimonio spirituale o temporale.
Gli appalti continuarono ad essere concessi al 1784, anno in cui l’amministrazione del lotto passò allo Stato senza che il regolamento subisse fondamentali variazioni.